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Brand management: quando comunicare è un’arte

Quello del brand management è uno dei settori più interessanti e stimolanti in ambito economico; non è quindi un caso che su tale argomento si organizzino eventi, corsi di studio, seminari; si scrivano saggi e manuali; si facciano studi e ricerche…
Proviamo a capire di cosa si tratta iniziando a darne una definizione.
Cos’è il brand management
Brand management (anche branding) è una locuzione inglese la cui traduzione letterale italiana è gestione del marchio (brand significa marca, marchio, stile; management significa gestione, direzione, comando ecc.).
Disquisizioni letterarie a parte, in letteratura si trovano definizioni di brand management più o meno articolate nella forma, ma pressoché equivalenti nella sostanza,
Di fatto, con tale locuzione si fa riferimento a tutta una serie di strategie, più o meno complesse, il cui scopo principale è quello di fornire, a uno specifico marchio, una sua ben precisa identità che gli permetta di aumentarne il valore nella percezione del consumatore.
Brand management: le strategie
Classicamente il brand management è un processo, di rilevante complessità, che si compone di sei step strategici fondamentali:
- Brand identity – Identità del brand; si fa riferimento a tutti quegli elementi a cui un’azienda ricorre per diffondere un determinato marchio; tipici esempi di questi elementi sono il nome, il logo, gli slogan, la mission… Di fatto, è il modo in cui un’impresa vuole essere percepita dal proprio target di riferimento.
- Brand awareness – Letteralmente il termine awareness significa consapevolezza; con l’espressione brand awareness ci si riferisce quindi a tutte quelle strategie comunicative che l’azienda mette in campo per aumentare la conoscenza del marchio sul mercato.
- Brand image – La brand image (immagine del brand) è classicamente definita come “il modo in cui il brand viene percepito dai consumatori”; non è una questione di nome o di logo, ma di valori, di sensazioni, di emozioni. Chi non ricorda il fortunato slogan pubblicitario del detersivo Dash, uno dei prodotti di punta di Procter & Gamble (“Dash lava così bianco che più bianco non si può”).
- Brand positioning – Letteralmente: posizionamento del brand; il riferimento in questo caso è alla posizione che un determinato marchio occupa nella mente dei consumatori (in base ai criteri di valutazione da essi adottati) rispetto ai vari competitor presenti sul mercato.
- Brand loyalty – Fedeltà al marchio; si tratta di un concetto abbastanza intuitivo e di notevole importanza nell’ambito del marketing; fa riferimento alla fedeltà (letteralmente loyalty significa lealtà) che il consumatore ha verso un determinato brand; in sostanza è ciò lo porta a preferire continuativamente, nel tempo, i prodotti e/o i servizi di una specifica marca (ovviamente a discapito dei diretti concorrenti).
- Brand equity – Locuzione che in italiano viene resa con espressioni quali valore del marchio o patrimonio di marca; se ne può dare una definizione da un punto di vista prettamente finanziario (in questo si fa riferimento al valore del marchio come bene del patrimonio dell’impresa) oppure da un’angolazione diversa, più strettamente riferita al marketing; in questo caso, con brand equity ci si riferisce al “patrimonio di immagine” che l’azienda è stata in grado di costruirsi con il passare del tempo.
Da queste brevi descrizioni è facile intuire che essere in grado di implementare in modo ottimale tutte queste strategie non è sicuramente cosa banale e richiede notevoli investimenti di tempo e di denaro; non è un caso che esistano corsi per brand manager organizzati da scuole di alto livello e da università.
Quello che è certo è che l’importanza del brand management è riconosciuta da tutti gli addetti ai lavori; è infatti ciò che può far sì che un’azienda si distingua in modo netto dai principali competitor sul mercato. È un’arte, quella di comunicare ciò che siamo, ciò che rappresentiamo, ciò che siamo in grado di offrire.
Brand management: lo scenario italiano
Non è semplice descrivere lo scenario italiano riguardo al brand management; non esiste infatti una vastissima letteratura su come le aziende del nostro Paese si stiano muovendo al riguardo; da una recente (ottobre 2022) ricerca promossa da Upa (Utenti Pubblicità Associati) e dalla School of Management del Politecnico di Milano e presentata su Il Sole 24 Ore, sembra che poco meno di un quarto delle aziende italiane implementino strategie di gestione del marchio; le ragioni, però, non sono da ricercarsi, come si potrebbe superficialmente pensare, in un italico atteggiamento di chiusura mentale verso nuove strategie di mercato, quanto, molto più banalmente, in ragioni di ordine prettamente economico; è fuor di dubbio, infatti, che il brand management comporti investimenti non minimali. Da tempo la situazione economica italiana non è florida; è soprattutto per questo che soltanto aziende di grandissimo livello sono in grado di destinare adeguati budget alla gestione del proprio brand.
13 maggio 1931: in Procter & Gamble nasce il brand management
È il 13 maggio 1931; è un mercoledì; come ogni giorno, milioni di studenti si alzano per recarsi a scuola; milioni di adulti si alzano per recarsi al lavoro; lo fa anche Neil H. McElroy, un noto pubblicitario che dal 1925 lavora per la Procter & Gamble, una multinazionale americana di beni di largo consumo con sede a Cincinnati, Ohio, negli Stati Uniti d’America.
Neil sta lavorando a una campagna pubblicitaria e butta giù degli appunti; in un memorandum interno scrive, fra le altre cose, “brand management”. Lui non può ancora saperlo, ma è in quel momento che ha fatto nascere una nuova disciplina che influenzerà il modo di lavorare di tutti i pubblicitari del mondo.
Il brand management, nasce dunque in Procter & Gamble; è passato quasi un secolo, ma la gestione del marchio in P&G gode ancora di ottima salute; l’azienda, infatti, è riuscita nel tempo a instaurare con i propri clienti un rapporto di fiducia che ha dato il via a un legame che non si è mai spezzato; le richieste dei consumatori sono inevitabilmente cambiate nel corso del tempo, ma Procter & Gamble si è continuamente evoluta facendo sì che il rapporto di fiducia instaurato con la propria clientela non venisse mai meno.
Se il brand management è un’arte, P&G ne è un’interprete perfetta.

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